giovedì 15 dicembre 2011





Nessun altro vorrei: tu mi calzi a pennello. 
Come un vestito marrone, ma comodo e bello.



E che mi fa pure magra.

giovedì 8 dicembre 2011





Voglio un'estate calda
di sole allo zenit
e un'ombra nascosta di brividi,
brividi d'ombra e voluttà.
Il sudore che sale
e nel sale del mare
mischiamo
gli umori
in quest'ombra di brividi.
Nascosti dal sole
nell'afa solitaria,
spogliamoci noi,
aspettando le cinque
per una passeggiata.

domenica 4 dicembre 2011

Everything




Tutte le cose farei io per te.
Ma quella che farei sicuramente meglio 

sarebbe un bacio.
Sulla fronte dato.

Appoggiate le labbra.
Delicatamente accennato.
Svela la compagna, l'amica, la sorella, la madre 

che non sono.
La donna che son per te.

sabato 12 novembre 2011

God save the queen



C'è l'anziana signora che mi racconta senza vergogna dove destina la sua misera pensione. La dà ad uno dei suoi figli, che non riesce ad arrivare a fine mese, fra spese e prole da sfamare. Lei si accontenta di poco: vive con l'altro figlio, che "un piatto caldo" non glielo fa mai mancare. Ora, però deve effettuare delle spese urgenti, ma tiene duro, fino a fine mese, che arriva la pensione e può impiegarne 100 euro per far fronte alle necessità, mentre il resto lo darà al figlio. Soffre di cefalee ricorrenti, ma preferisce non comprare l'antidolorifico con la ricetta bianca che le abbiamo prescritto, perchè dovrebbe pagarlo a prezzo pieno ed anche 4 euro, ora, per la salute, non sono previste. No, ma va bene così, "non ci lamentiamo, perchè un piatto caldo non manca mai".


C'è il ciclista dell'una di notte, che arriva avvolto nel buio nel parcheggio desolato e pieno di sporcizia del Mc Donald. In sella alla sua bici, rovista uno ad uno i cestini della spazzatura, alla ricerca di qualche avanzo di cibo, avendo cura, lui, di rimettere a posto l'immondizia, proprio come non fanno, invece, tutti gli affamati avventori che scaricano tonnellate di cartacce e di avanzi, comodamente per terra, fuori dal finestrino della loro auto coi cerchi in lega. Cerca resti da mangiare, ma non sembra trovarne. Da un'auto di tamarri di periferia, esce un giovane tamarro di periferia che lo raggiunge, porgendogli un panino nuovo di pacca, non ancora morso, il suo "spuntino di mezzanotte". L'attempato ciclista non la smette di ringraziare e di scusarsi per il disturbo e la sua voce è un misto di meraviglia ed umiltà, di sollievo e gratitudine. Il tamarro di periferia ha la voce cordiale ed alle scuse del ciclista risponde con un semplice e spiazzante "Non ti preoccupare, è normale".




E' normale.

Quando uno dice la crisi.

Non ti preoccupare.

domenica 23 ottobre 2011

Another lesson




Ho imparato che le cose spesso e volentieri non vanno come vorresti, 
ma che chi ti ama sempre ti bacerà con devozione i palmi delle mani.
Che torna sempre indietro ciò di cui ti vuoi disfare, 
ma se lo regali col cuore te ne liberi per sempre 
e puoi rendere davvero felice qualcuno.



venerdì 26 agosto 2011

All my dreams will come true, dear.



Manca la luna in cielo, che, come si dice, è nuova. L’anno scorso, di questo periodo, era piena e noi cercavamo le piramidi con due sacchi dell’immondizia.
Quest’anno, invece, che Cheope ce la impedisce proprio la luna che latita, cerchiamo e troviamo le vigne, mangiamo e facciamo all’amore. Che poi perché si dice “fare a”, come se uno lo imitasse quest’amore, ma io so che noi non ci proviamo mai: semmai si imitano attori famosi, in settori di nicchia. Fortuna che l’amore è un’altra cosa ed anche questa estate l’abbiamo aspettata insieme.
“Voglio te, una vita, far l’amore nelle vigne. Cade l’acqua, ma non mi spegne, voglio te” cantava Mara Cabeddu insieme a Battisti. Ed io concordo. Come potrei diversamente?
Mentre l’auto corre nel buio della Brianza e ascoltiamo rapiti la storia di 9 dita e mi coglie la bellezza della lentezza delle parole di Lo Cascio, tu ti addormenti, come i bambini quando è troppo tardi e tornano da cene di genitori e amici di genitori, sono stanchi stravolti e crollano in auto. Mi viene da pensare che, semmai un indomani si dovesse fare tardi, con tanto di marmocchi al seguito, forse dovrei guidare io e avrei un gran russare nell’abitacolo, diretti verso casa. Insomma, amore, tu ti addormenti e sogni anche per me.
E quando siamo quasi arrivati a destinazione la radio trasmette la canzone giusta, quella che si può cantare a squarciagola, cantare seriamente, oppure canticchiare e basta. Io canticchio, perché non voglio svegliarti “There and then all my dreams will come true, dear…”. Un sogno, sì, è vero, l’ho appena realizzato, ma tutti gli altri ancora no, o forse tanti sì, tanti che non credevo nemmeno di poter sognare. E’ che le cose più belle son quelle a cui non credi, son le sfide contro te stesso, il passo oltre i propri limiti e paure, il tuffo nel vuoto l’attimo dopo che ti sei accorto che fortunatamente sei caduto sul morbido.
Dormiamo un sacco questa notte e al risveglio mi dici che da oggi puoi finalmente dire che sono tre anni che stiamo insieme.
Al di là dell’incontenibile angoscia del tempo, non mi frega degli anni, mi frega di noi, di un tempo che si ferma, di una voglia immutata, di un punto fermo che rassicura, di una fede che cresce e mi salva, proprio perché ci credo.
Preferisco lasciar fare a noi di domani, muti, la vita che oggi non siamo nemmeno capaci di sognare, invece di parlare di quanto sarà bello e promettere l’inimmaginabile, preferisco ridere con te, di te, di me, di noi, del nostro passato, qui nel presente, che il domani è per quei nomadi di spirito che non hanno paura di vivere viaggiando nella realtà.

venerdì 5 agosto 2011

Lucky girl





Beata te
che la tua più grande pretesa era quella di essere portata al mare.
Beata te
che versavi lacrime solo quando non ti sentivi compresa.
Beata te
che ribadivi i concetti solo per convalidare il tuo punto di vista.
Beate te
che un pranzo in famiglia era lo status di qualcosa che non avrai mai.
Beata te
che il tuo problema era mascherare i tuoi capricci in impellenti necessità.
Beata te
che timbravi momenti con titoli di auliche canzoni ormai dimenticate.
Beata te
che lavavi il cervello versando idee condite da vizi ed egoismo.
Beata te
che prima i tuoi problemi e poi invisibili quelli degli altri.


Mai l'avrei detto,
ma ti invidio e ti dico beata.
Beata, ora che per me sei piccola come la più piccola delle zanzare.
Che punge inutilmente nelle notti estive.
In questa estate infuocata,
dove posso pure dimenticarmi di te,
poichè ho l'obbligo di ricordarmi di tutto il resto.

lunedì 27 giugno 2011

Instant karma gonna get you



C'é un attimo che conserva ancora il principio del tutto.
Un attimo di silenzio e affanno,
fra lo spasimo dell'ingordigia.
È un attimo di incontri,
di intrecci di gambe e di braccia,
di sguardi d'attesa col fiato sospeso.
Un attimo che apre ad un piacere
nuovamente ritrovato,
salutare dipendenza
accolta in un sospiro.
Di nuovo un sollievo seguito da un brivido,
gli occhi sfuggono verso l'altrove
di cui mai se ne ha abbastanza.


A quell'attimo sacro, io debbo profonda venerazione.

giovedì 9 giugno 2011

Before you cross the street, take my hand. Life is what happens to you while you're busy making other plans.



C’è stata una volta, lunga soggettive ere geologiche, in cui dalla mia scrivania ogni giorno mi voltavo a sinistra abbassando lo sguardo, a fissarmi sull’attraversamento pedonale in fondo alla via. Avevano riverniciato da poco le strisce ed avevano anche approfittato dell’occasione per farci un dosso, così le macchine dovevano rallentare.
Ogni volta che mi voltavo a guardarlo, pensavo a quante cose intorno a me stavano cambiando. Ogni cosa che cambiava era un pezzo, assolutamente indefinito, di distanza che interponevo fra me e lui. Come se da loro dipendesse anche il temperarsi del mio dolore, un passo in più verso la serenità.
Così ho visto cambiare un divano, le strade e i sensi unici, auto, cartelli, pub e stagioni. Ogni cambiamento, una nuova evoluzione. Lasciar fare passivamente al tempo ciò che attivamente io ero ancora lontana dal comprendere di fare.
Quando mi telefonò, dopo due anni per la prima volta, mi ricordo che mi disse con rammarico che la nostra storia era caduta come le foglie in autunno inoltrato e nessuno dei due aveva avuto l’accortezza di ricercarla sotto quel cumulo di secco arancione. Quando me lo disse io stavo guardando proprio l’attraversamento pedonale. Ed era autunno, proprio come quando quel pomeriggio nel parco, fra foglie cadute e marcite sotto la pioggia battente, mi disse che non sapeva se mi avesse mai amata. Era autunno come quando con gioia infantile saltavo su montagne di foglie senza aver paura di farmi male, perché era soffice e bello, perché scricchiolavano tutte, seccate al sole. Era una domenica di sole, non l’ultima che trascorremmo insieme, me lo ricordo.
Era un ricordo sepolto da foglie, speranze cadute, sogni mai fatti e disperazione a secchiate come la pioggia battente mentre cercavo fra le lacrime di capacitarmi del vuoto allo stomaco, come se m’avessero bucato l’addome e mi ci si vedesse attraverso l’abbraccio di addio.
Penso a tutto questo quando guardo le strisce pedonali sotto casa mia.

Poi c’è stato un momento, un momento che sarà durato il tempo in cui una mano abbassa la maniglia per aprire una porta. In quel momento d’inerzia ho smesso di vedere le tue iridi ed ho focalizzato la mia immagine capovolta sulla tua retina. Quando mi sono vista a testa in giù è scattata la maniglia e si è aperta la porta. E mi son trovata in una stanza con un letto in penombra e un po’ di fresco che arrivava dalle finestre. L’odore delle lenzuola pulite ed un altro autunno alle porte.
Quando ti guardo mi fermo. Desidero che nulla cambi, ma che tutto cresca.
Quando ti immagino ti vedo col vuoto intorno, perché niente è importante tranne ciò che vedo. Quando la prima volta ho avuto la tua faccia fra i miei capelli, sotto il mio naso, di fronte ai miei occhi, ho sorriso dolcemente, senza svelare i denti, come faccio anche ora, che i miei capelli, ormai troppo corti, non contornano più il tuo volto.
Ti immagino sospeso nella mia serenità, librarti senza fatica in ogni direzione di quello spazio invisibile tracciato dai morbidi sentimenti che nutriamo.
Quando ti immagino, io immagino il mio sorriso.
E quando mi chiedi, ad un centimetro dalla mia bocca, a pochi minuti dalla truce carne, perché rido, io te lo vorrei dire sempre perché rido, ma è talmente banale e naturale, che non mi viene mai di mettere insieme le parole. Così ieri ti ho detto che ridevo del presente. Perché guardarti negli occhi mi fa pensare a tutto questo. A quanto sto bene ora che non salto più fra cumuli di foglie secche. Perché io me lo ricordo tutte le volte che ti guardo che sono fortunata. Perché sto con te e può passare anche l’autunno.

venerdì 15 aprile 2011

Suspiria



Di quando facciamo l'amore la cosa che anzitutto mi piace di più è poterti sentire.
Sussurrare.

lunedì 11 aprile 2011

Silk in spring



Primavera porta sogni
porta sogni eletrizzanti
che arriciano capelli
che a strapparli c'è più gusto

Mente mia
porta via
la follia

Primavera porta odori
porta odori inebrianti
che sfumano nel parco
la cipolla è già spuntata

Naso mio
annusa qui
che ricordi

Primavera sulla pelle
porti vento con le stelle
porti un brivido leggero
un abbraccio vecchio vero

Pelle mia
senti allora
che magia

Primavera non passare
o passa in fretta se ti va,
porta pure un po' d'estate,
però aspetta col Natale...

Primavera da non dire
sussurare, respirare
tu sfumata
da svelare

giovedì 7 aprile 2011

Who are you?



Cosa fare quando ti svegli al mattino e non riconosci la persona che ha dormito al tuo fianco.
Innanzitutto sarebbe bene accertarsi di non stare ancora sognando o di non soffrire di allucinazioni ipnopompiche, in atto proprio in quel momento.
In seconda battuta, altrettanto opportuno sarebbe porre fine al vizio di bere duro la sera precedente e portarsi a letto uno sconosciuto, credendo fosse il proprio uomo, tra l’altro avendolo debitamente nutrito d’amore e di ottime prelibatezze culinarie.
Se la prima e la seconda ipotesi si possono scartare, beh, allora la faccenda si fa più complicata e desta preoccupazione. Se l’uomo in questione è il tuo uomo, uomo con il quale hai condiviso minimo 400 risvegli mattutini, l’uomo del quale, in una qualsiasi altra mattina, avresti riconosciuto ad occhi chiusi ogni sua caccola…se è proprio lui, allora tu hai un problema.
Potrebbe anche darsi che quella diversa dalla notte col giorno sia tu. Può darsi che ti abbiano scambiata nella notte con una te stessa mancante dell’esperienza fidanzamento a lungo termine. Può darsi che il sogno che hai fatto di essere stata lobotomizzata dagli alieni non fosse proprio un sogno, ma un incredibile incontro del terzo tipo (poteva, in questo caso, il tuo uomo, per galanteria, supplicare “prendete me, risparmiate lei!”), in cui ti han tolto un pezzo di materia grigia in cambio di una gravidanza marziana. Potrebbe darsi che tu abbia sviluppato una rarissima, quanto mai inverosimile, forma di schizofrenia ad insorgenza acuta e ti risvegli in un’atmosfera delirante, in cui il malcapitato compagno fedele appare ai tuoi occhi come uno sconosciuto che sicuramente è pronto a farti del male nelle maniere più truci che nemmeno il cinema hitchcockiano avrebbe mai potuto immaginare.
Potrebbe anche darsi che tu abbia solamente bisogno di una dose extra di coccole e che inconsciamente desideri che quello sconosciuto lasci il suo odore nel tuo letto, così da poterlo riconoscere stasera, quando da sola ti coricherai le coperte, sentendoti ancora tra le sue braccia.

Dead mice, real life.



Quando il mattino al risveglio il tuo uomo ha un alito che manco i topi morti, bacialo. 
Quello è il sapore della realtà.








(In realtà anche tu hai un alito che così se non peggio)

lunedì 21 marzo 2011

Unravel your never-ending task, Penny!


La donna che s’accontenta fa l’amore con sé stessa.
La donna che s’accontenta sente di amare solo se privata,
quando tragicamente si sacrifica in nome di nulla di meritato.
La donna che s’accontenta scende a patti con una sé sbagliata.
La donna che s’accontenta scambia la paura per  pazienza
e si riconosce virtuosa naufragando nell’isola degli ormai.

La donna che ama fa l’amore col mondo,
Dona amore sorridendo, riempiendosi il cuore di magnifico.
La donna che ama acquista valore aggiunto senza mai comprarlo.
La donna che ama aspira al bene, conoscendo il male.
La donna che ama porta pazienza come piume d’angelo,
ed è felice quando salpa dal porto verso il mare dei chissà.

La donna che ama non è donna che s’accontenta.
La donna che s’accontenta non è donna che ama.

martedì 15 marzo 2011

Growing up beside you



Oggi è stata l’ennesima giornata stressante di una lunga serie di giornate stressanti, inserite in un periodo altrettanto stressante, che segue ad altri periodi oltremodo stressanti, che delineano un anno molto ricco di stress, ma anche di faticose e gratificanti evoluzioni.
Questa ennesima giornata stressante è stata caratterizzata da una variazione al tema: al posto del solito ping pong fra reparto ed imprevisti in reparto, mi sono concessa una briosa spremitura di meningi per la stesura di un abstract da inviare ad un congresso. End line: oggi.
Grazie al caso – e ringrazio solo il caso, non a caso – tutto è andato per il verso giusto: chi di dovere ha accettato quanto scritto dopo solo cinque o sei ristesure, e quanto scritto è stato inviato alla commissione esaminatrice del congresso di cui sopra.
Di solito, quando il destino decide di tirar fuori dal suo cilindro giornate come queste, mi abbuona in omaggio anche una super acuzie di disturbo ossessivo-compulsivo, che di norma va a sfogarsi sulle faccende domestiche, una volta rientrata alla solitaria dimora.
Ormai so già quale è il copione: sono stanca morta, ma non mi basta, perché ormai già che sono in ballo ballo e se c’è da fare 30 faccio pure 31. Così, cercando di evitare l’inesorabile fine, da un lato, ma ossessionandomi/rassegnandomi alla necessaria conclusione “igienica” della giornata, inizio una serie di attività similricreative, ognuna correlata consecutivamente alla precedente dal motto del “30 e poi 31”.
Stasera, una volta aperta la porta di casa, il mio susseguirsi di pensieri, e quindi di relative azioni, è stato: fare la lavatrice perché se no il consorte laureando domani non ha mutande da mettersi (ma dove saranno finite tutte le sue mutande, a proposito?) → sarebbe anche il caso di passare l’aspirapolvere, che se no, poi, se il consorte rimane qui per due giorni consecutivi, la casa diviene un macello e, visto il periodo, c’è bisogno di molto ordine per mantenere la calma e la concentrazione → certo che sarebbe anche il caso di cambiare le lenzuola, che se no, poi, settimana prossima, che non ci sono, mi si accumula lavoro e diventano lerce → già che ci sono, potrei anche sollevare i materassi e le doghe del letto e passare l’aspirapolvere lì sotto, che se mi va bene debello in un sol colpo la comunità di cimici zombies pacificamente integratasi con gli autoctoni acari, risultanti all’ultimo censimento di luglio 2010 in numero di 10 milioni (una megalopoli).
Fortunatamente, a questa prima concatenazione non molto logica di pensieri, sono seguite azioni che hanno placato il cervellotico circolo vizioso nel quale mi ero impantanata ed hanno limitato i lavori domestici a queste sole pulizie di primavera, più qualche aggiunta di ulteriori fatiche in itinere, come decidere di riordinare i cassetti e l’armadio.
Devo ammettere che, quando mi coglie tale estro creativo, la situazione porta sempre ad un turbinio di emozioni e di ritrovamenti inaspettati. 
Nel riordinare i cassetti, spiegando e poi ripiegando bene ogni maglione e maglietta, ho tirato fuori anche quei capi che non metto mai e che giacciono immacolati sul fondo. Avevano ancora l’odore dell’ultimo lavaggio, dell’ultimo detersivo, dell’ultimo ammorbidente usato. Un profumo che non sentivo da mesi e che mi ha avvolto di ricordi di estate e fine estate, di zanzare, di condizionatore, di montagna e di mare. E così mi sono scese quattrocinqueosei lacrimucce e, per la prima volta nella mia vita, da brava persona che matura, mi sono emozionata a pensare a quante cose sono cambiate e stanno per cambiare. Arrivati alla vigilia di un evento importante, come l’imminente laurea del mio consorte, mi sono sentita grande e e piena di sentimenti materni: mi ha sfiorato il pensiero dell’orgoglio per tanta strada, del “siamo cresciuti personalmente e professionalmente insieme, ti ho visto crescere, ed ora stai per raggiungere un traguardo sacrificato, sofferto, guadagnato”, e stiamo insieme, uno affianco all’altro. Mi sono fermata io, un attimo, per tutti e due, stasera, a pensarci, per poi riprendere a correre, verso i nostri futuri, che si tengono per mano.
Nel cambiare le lenzuola, invece, sono saltate fuori ben due paia di mutande, nessuna delle quali era mia. Ecco svelato il mistero della sparizione delle mutande del consorte.
Sollevando i materassi e le doghe del letto, inoltre, ho potuto constatare un incremento demografico, non solo degli Acariani, abitanti di Acaropoli, ma anche del cimitero vivente di cimici, reduci da un inverno di battaglie con la sottoscritta. Avevo vinto io: erano tutte morte, stecchite e capovolte. Non mi consola sapere che io vi abbia dormito sopra per tutti questi mesi, ma sentirle risucchiare nell’aspirapolvere mi ha riempito il cuore di una calma serenità.
Ho finito di ribaltare la casa in tempo per stendere i panni che la lavatrice aveva centrifugato a 1000 giri al secondo, per cui, ormai stremata, ho stretto i denti per questo ultimo sforzo e nel prendere le mollette, riposte nell’apposito contenitore, mi sono trovata faccia a faccia con una schifosissima, verdissima e antennosissima cimice.
Il destino, oltre ad avermi regalato un quanto mai afinalistico disturbo ossessivo-compulsivo, mi ha anche concesso il dono di poter inorridire fino a peli ritti ed urla isteriche alla sola vista della cimice, del genere schifus schifissimus.
Raccogliendo quel po’ di pazienza residuatami dalla giornata ho escogitato un piano d’azione per liberarmi senza spargimenti di sangue della cimice delle mollette e questa è finalmente volata via dalla finestra, scaraventata da un colpo di mestolo, sotto la pioggia battente.
Cimici, ho vinto la battaglia ed ho vinto pure la guerra. Oh.

Dato che una cimice non può essere la giusta conclusione di uno sproloquio, lascio qui sotto il vero senso di tutto questo.



Growing up beside you
(Oltre che del titolo della canzone di Paolo Nutini, si tratta di un link!)

Sitting beside you in school
While we'd paint I'd make you laugh
Mine was never very good
Yours looked exactly like the photograph
Looks like I'm growing, I'm growing up beside you

I don't always get the way you feel
But now I've learned to live with that
It's like I'm a part of something real
I was hitting the bottle, now I've broke the seal
Looks like I'm growing, I'm growing up beside you

And the sun sets the scene
While the rain misses me
And all the time I'll be growing, growing up beside yo
u

domenica 27 febbraio 2011

'Till the end of night



La prima volta che dormimmo insieme,
proprio all'inizio della nostra relazione, 
che tu ti addormentasti dietro di me, 
come fu poi per tutte le notti a venire...
La prima volta che dormimmo insieme, 
quando da amico diventasti nuova certezza,
che tu ti addormentasti ben prima di me, 
come fu poi per tutte le notti a venire...
La prima volta che dormimmo insieme,
proprio quando scoprii che russavi e bene,
che scrofolasti senza aver pietà di me,
come fu poi per tutte le notti a venire...

La prima volta che dormimmo insieme
ho pensato che fosse un bel guaio
aver detto sì ad una vita così 
rumorosa di notte e pure di giorno.
La prima volta che dormimmo insieme
ho pensato che l'unica soluzione
fosse scrollarti un po' ed alzarti,
con la mano delicatamente,
dal mento la testa, 
la testa verso l'alto,
perchè silenzio fosse
e notte anche per me.

La prima volta che dormimmo insieme,
proprio quando ti diedi il primo "fruc",
che tu mi stringesti più forte,
come fu poi per tutte le notti a venire,
ancora non potevo sperare che non avresti più mollato la presa,
ma temevo per certo che avresti continuato a russare.
Come fu poi per tutte le notti a venire.

giovedì 24 febbraio 2011

Storyteller


Questa è la storia di un lento disgelo, di cui si avverte il sentore, ma ancora si fatica a percepirne il tepore. 
Troppi pochi giorni fa pioveva dagli alberi, sotto un timido sole abbastanza tenace da sciogliere tutta la galaverna che la fredda nottata milanese aveva depositato. E un’infreddolita figura ci passava sotto, non potendoli evitare, giacchè erano ovunque lungo il viale per arrivare alla metro. Si sentiva leggermente sollevata nel vedere questo fenomeno naturale e pensava e sperava che il sole facesse con lei quello che stava facendo con gli alberi. Sperava di scongelarsi anch’essa, rivelando, sotto i cristalli d’inverno, delle gemme che presto si sarebbero schiuse.
La primavera, però, a gennaio non s’è mai vista e l’inverno di Milano era un inverno nel cuore. 
Disgeli a parte. 
Questa storia non ha un seguito e men che meno una fine. Questa storia ha un senso se non raccontata, perché non tutte le storie hanno il compito di essere divulgate, alcune hanno solo il compito di essere vissute, immaginate, ricordate o seppellite. 
Io questa storia la voglio seppellire, farne un funerale, ma prima seguirne il feretro fino al cimitero, in una processione di pensieri e considerazioni in divenire. Preziosi ed affettuosi, come rapporti mai vissuti ed abbracci di addio, che racchiudono consapevolezze intime, di chi sa e teme che presto partirà per un lungo viaggio. 
Di questa storia accenno ad un lungo sonno senza fine, in cui ti accoccoli un giorno che sei tanto stanca e non vorresti più svegliarti. Dormono i sentimenti, dormono le gioie, dorme l’ingenuità dell’animo. Tutto tace. 
Accenno a un lento risveglio che nemmeno le sveglie più tenaci possono sconfiggere se manca una pila nell’anima. 
Accenno ad un viaggio non fatto e che avrei tanto voluto e ad uno fatto che non avrei voluto fare, che col senno di poi, è stato giusto e fatale proprio così, che Valencia no e Roma sì. 
Accenno a parole piovute addosso come la pioggia dagli alberi, non altrettanto leggere, ma forse altrettanto sporche ed acide come le precipitazioni atmosferiche nel milanese. 
Accenno ad una forte stretta di addio, un saluto silenzioso che mi piace pensare racchiudesse i non detti e non fatti e verità tenere avvolte da paure comuni, semplici, vere, da giustificare. Accenno ad un piccolo segreto che rimarrà mio e solo mio e forse dimenticherò come questa storia che non voglio raccontare perché non so farlo. 
Una storia di vita non si racconta quando la si vive, semmai più tardi, quando non si vive più o si sta vivendo altro. 
Una storia di vita è fatta anche di tristezza e di amore. Di esigenza di soffrire, pur continuando a ringraziare chi si vuole perché comunque ci si sente fortunati. 
Di questa storia mi rimangono ancora gli echi di lontana tristezza ed un megafono per urlare un amore che, per quanto profondo e radicato, non so più né da dove né da chi nasca. Non è un amore che avvolge, che unisce. Non sta sopra, non sta sotto. E nemmeno dietro o davanti a me. Dentro ancor meno. 
E’ un amore che attraversa. 
Ed attraverso l’amore voglio poter continuare a sciogliere la galaverna, vera protagonista di questa storia di un inverno milanese. La galaverna che, tenace, non è brina e manco neve, si deposita, stratifica, ghiaccia e rischia di farti scivolare.