giovedì 9 giugno 2011

Before you cross the street, take my hand. Life is what happens to you while you're busy making other plans.



C’è stata una volta, lunga soggettive ere geologiche, in cui dalla mia scrivania ogni giorno mi voltavo a sinistra abbassando lo sguardo, a fissarmi sull’attraversamento pedonale in fondo alla via. Avevano riverniciato da poco le strisce ed avevano anche approfittato dell’occasione per farci un dosso, così le macchine dovevano rallentare.
Ogni volta che mi voltavo a guardarlo, pensavo a quante cose intorno a me stavano cambiando. Ogni cosa che cambiava era un pezzo, assolutamente indefinito, di distanza che interponevo fra me e lui. Come se da loro dipendesse anche il temperarsi del mio dolore, un passo in più verso la serenità.
Così ho visto cambiare un divano, le strade e i sensi unici, auto, cartelli, pub e stagioni. Ogni cambiamento, una nuova evoluzione. Lasciar fare passivamente al tempo ciò che attivamente io ero ancora lontana dal comprendere di fare.
Quando mi telefonò, dopo due anni per la prima volta, mi ricordo che mi disse con rammarico che la nostra storia era caduta come le foglie in autunno inoltrato e nessuno dei due aveva avuto l’accortezza di ricercarla sotto quel cumulo di secco arancione. Quando me lo disse io stavo guardando proprio l’attraversamento pedonale. Ed era autunno, proprio come quando quel pomeriggio nel parco, fra foglie cadute e marcite sotto la pioggia battente, mi disse che non sapeva se mi avesse mai amata. Era autunno come quando con gioia infantile saltavo su montagne di foglie senza aver paura di farmi male, perché era soffice e bello, perché scricchiolavano tutte, seccate al sole. Era una domenica di sole, non l’ultima che trascorremmo insieme, me lo ricordo.
Era un ricordo sepolto da foglie, speranze cadute, sogni mai fatti e disperazione a secchiate come la pioggia battente mentre cercavo fra le lacrime di capacitarmi del vuoto allo stomaco, come se m’avessero bucato l’addome e mi ci si vedesse attraverso l’abbraccio di addio.
Penso a tutto questo quando guardo le strisce pedonali sotto casa mia.

Poi c’è stato un momento, un momento che sarà durato il tempo in cui una mano abbassa la maniglia per aprire una porta. In quel momento d’inerzia ho smesso di vedere le tue iridi ed ho focalizzato la mia immagine capovolta sulla tua retina. Quando mi sono vista a testa in giù è scattata la maniglia e si è aperta la porta. E mi son trovata in una stanza con un letto in penombra e un po’ di fresco che arrivava dalle finestre. L’odore delle lenzuola pulite ed un altro autunno alle porte.
Quando ti guardo mi fermo. Desidero che nulla cambi, ma che tutto cresca.
Quando ti immagino ti vedo col vuoto intorno, perché niente è importante tranne ciò che vedo. Quando la prima volta ho avuto la tua faccia fra i miei capelli, sotto il mio naso, di fronte ai miei occhi, ho sorriso dolcemente, senza svelare i denti, come faccio anche ora, che i miei capelli, ormai troppo corti, non contornano più il tuo volto.
Ti immagino sospeso nella mia serenità, librarti senza fatica in ogni direzione di quello spazio invisibile tracciato dai morbidi sentimenti che nutriamo.
Quando ti immagino, io immagino il mio sorriso.
E quando mi chiedi, ad un centimetro dalla mia bocca, a pochi minuti dalla truce carne, perché rido, io te lo vorrei dire sempre perché rido, ma è talmente banale e naturale, che non mi viene mai di mettere insieme le parole. Così ieri ti ho detto che ridevo del presente. Perché guardarti negli occhi mi fa pensare a tutto questo. A quanto sto bene ora che non salto più fra cumuli di foglie secche. Perché io me lo ricordo tutte le volte che ti guardo che sono fortunata. Perché sto con te e può passare anche l’autunno.

Nessun commento:

Posta un commento