giovedì 24 febbraio 2011

Storyteller


Questa è la storia di un lento disgelo, di cui si avverte il sentore, ma ancora si fatica a percepirne il tepore. 
Troppi pochi giorni fa pioveva dagli alberi, sotto un timido sole abbastanza tenace da sciogliere tutta la galaverna che la fredda nottata milanese aveva depositato. E un’infreddolita figura ci passava sotto, non potendoli evitare, giacchè erano ovunque lungo il viale per arrivare alla metro. Si sentiva leggermente sollevata nel vedere questo fenomeno naturale e pensava e sperava che il sole facesse con lei quello che stava facendo con gli alberi. Sperava di scongelarsi anch’essa, rivelando, sotto i cristalli d’inverno, delle gemme che presto si sarebbero schiuse.
La primavera, però, a gennaio non s’è mai vista e l’inverno di Milano era un inverno nel cuore. 
Disgeli a parte. 
Questa storia non ha un seguito e men che meno una fine. Questa storia ha un senso se non raccontata, perché non tutte le storie hanno il compito di essere divulgate, alcune hanno solo il compito di essere vissute, immaginate, ricordate o seppellite. 
Io questa storia la voglio seppellire, farne un funerale, ma prima seguirne il feretro fino al cimitero, in una processione di pensieri e considerazioni in divenire. Preziosi ed affettuosi, come rapporti mai vissuti ed abbracci di addio, che racchiudono consapevolezze intime, di chi sa e teme che presto partirà per un lungo viaggio. 
Di questa storia accenno ad un lungo sonno senza fine, in cui ti accoccoli un giorno che sei tanto stanca e non vorresti più svegliarti. Dormono i sentimenti, dormono le gioie, dorme l’ingenuità dell’animo. Tutto tace. 
Accenno a un lento risveglio che nemmeno le sveglie più tenaci possono sconfiggere se manca una pila nell’anima. 
Accenno ad un viaggio non fatto e che avrei tanto voluto e ad uno fatto che non avrei voluto fare, che col senno di poi, è stato giusto e fatale proprio così, che Valencia no e Roma sì. 
Accenno a parole piovute addosso come la pioggia dagli alberi, non altrettanto leggere, ma forse altrettanto sporche ed acide come le precipitazioni atmosferiche nel milanese. 
Accenno ad una forte stretta di addio, un saluto silenzioso che mi piace pensare racchiudesse i non detti e non fatti e verità tenere avvolte da paure comuni, semplici, vere, da giustificare. Accenno ad un piccolo segreto che rimarrà mio e solo mio e forse dimenticherò come questa storia che non voglio raccontare perché non so farlo. 
Una storia di vita non si racconta quando la si vive, semmai più tardi, quando non si vive più o si sta vivendo altro. 
Una storia di vita è fatta anche di tristezza e di amore. Di esigenza di soffrire, pur continuando a ringraziare chi si vuole perché comunque ci si sente fortunati. 
Di questa storia mi rimangono ancora gli echi di lontana tristezza ed un megafono per urlare un amore che, per quanto profondo e radicato, non so più né da dove né da chi nasca. Non è un amore che avvolge, che unisce. Non sta sopra, non sta sotto. E nemmeno dietro o davanti a me. Dentro ancor meno. 
E’ un amore che attraversa. 
Ed attraverso l’amore voglio poter continuare a sciogliere la galaverna, vera protagonista di questa storia di un inverno milanese. La galaverna che, tenace, non è brina e manco neve, si deposita, stratifica, ghiaccia e rischia di farti scivolare.

Nessun commento:

Posta un commento