Piove.
Qui lo dico, e pure ad alta voce, perché la pioggia che batte sul mio soffitto mansardato fa molto rumore. Molto.
Sabato, in un’altra giornata uggiosa, sono andata a tagliarmi i capelli: da capello corto a capello corto. Da normalità ad audacia.
I consensi raccolti naturalmente non sono stati unanimi, ma quel che importa è che le persone giuste abbiano a loro modo espresso gradimento:
1. Il mio ragazzo ha espresso gradimento in maniera molto convincente. Mui gradimento.
2. Il mio migliore amico ha espresso gradimento in maniera molto fashion. Very pleasure.
3. Il mio “mentore” ha espresso gradimento in maniera sociopatica. Emozione, molta. Emozione, molta. Pipa, fumo, un minuto, lavoro, di nuovo.
4. Un nobile professore ha espresso gradimento con modi da mollusco. Grazie mille. Fa specialmente piacere.
Gli altri li ringrazio lo stesso, non tanto perché abbiano ugualmente espresso parere riguardo ad un argomento frivolo come il taglio di capelli, quanto perché abbiano comunque voluto partecipare di un argomento frivolo come il parrucco.
In quest’autunno di pioggia stare in equilibrio sugli alberi, le foglie gialle e rosse che moh cadono, significa avere un georgiano nella stanza accanto, che, paralizzato lui, paralizza dalla paura anche chi capita in corridoi di reparti proibiti. Significa, però, anche organizzare un'alternativa ad un noioso sabato sera, organizzare una cena di Natale in famiglia, con nuovi membri, significa immaginarsi future famiglie, con me come capafamiglia. E tanti rami, quest'albero, per fortuna!
Stare in equilibrio aiuta a non cadere, a stare sempre attenti a rimanere in equilibrio. Stare in equilibrio è quasi una garanzia, allora.
Ci penso e mi rendo conto che ci son cose che lascio apposta in uno stato di precarietà, per potermi accertare ogni giorno che siano ancora nel loro stato di precarietà. Ed ogni giorno contemplarle ed ogni giorno prendermene cura. Ci penso, prego per loro, voglio bene. Insomma. Così.
Vorrei che tutto potesse camminare su un filo. O meglio, vorrei che tutti sapessimo che ogni cosa di noi, ogni cosa a noi cara, ognuna delle nostre vite cammina su questo filo. E vorrei che tutti stessimo sempre a riaggiustarci e a riaggiustare un equilibrio, stando attenti a quando questo possa venir meno, anticipando questo momento, se no sarebbe troppo tardi.
Ci son volte in cui ti metti la mano davanti agli occhi, ancor prima di guardare l’orizzonte in una giornata di sole. Lo fai prima. Prima che questo ti accechi e ti impedisca di vedere.
La lungimiranza è l’arte dell’equilibrista: aggiustarsi i contrappesi prima di avvertire forza, direzione e verso. La lungimiranza è un’accortezza che i saggi ed esperti equilibristi adoprano con disinvoltura ineccepibile, ma è snobbata e derisa dall’incosciente che, per la prima volta sul filo, crede di poter prevenire una caduta, regolando il suo equilibrio, una volta che questo venga meno. Invece non c’è bisogno di conoscere ciò che ti farà vacillare per sapere che ti potrebbe far cadere. Non c’è bisogno di affrontare un pericolo per sapere che potrebbe essere tale. Non c’è bisogno di aver camminato sul filo tante volte per sapere che a cadere c’è sempre la possibilità.
C’è solo da riaggiustare gli equilibri, perdendoci la vita a conoscere di noi stessi ogni singola fibra muscolare che ci possa aiutare in questa impresa. E perdendoci i ghigni, le espressioni, piccoli segni di noi, intenti ed attenti. E noi non sappiamo, eppure ci sono.
[Così come non sanno, quelli nella 9, di chi ci sia nella 10F. Eppure c'è.]
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