martedì 30 novembre 2010

Rules for dudes


Rinchiudimi in una regola.
Una regola che regoli la felicità. 
Che regoli la tristezza. 
Che regoli le persone che ti fanno felice, che ti fanno triste.

Rinchiudimi in una regola.
Una regola val bene la tranquillità. 
E chi è tranquillo è sereno. 
E, si sa, la serenità regola la vita.

Rinchiudimi in una regola.
Qui è bene e qui è male. 
Scelgo dove sto che poi così ci si regola.

Rinchiudimi in una regola.
I miei gusti, i miei principi, il mio carattere. Ciò che mi regola.
Ti prego, rinchiudimi in una regola.

Fammi sentire che a me ci tieni, che non mi vuoi mai lasciare andar via. 
Che di me hai bisogno. 
Hai bisogno di una regola.

Rinchiudimi in una regola.
Affinchè finiscano i giochi ed io non possa più respirare. 
Perché non ci sia più nulla da scoprire.

Rinchiudimi in una regola.
Che poi ci siam già detti tutto. 
E se tiri troppo la corda si spezza 
e poi, io che son buona e cara, ti faccio vedere che cosa succede.

Rinchiudimi in una regola.
La regola della buonanotte. 
Del ti penso a tutte le ore. 
Del sogno che si avvera.

Rinchiudimi lì, in quel clichè.
Del ti amo, ma pretendo.
Dell’affetto, ma sta’ attento.

Richiudi ancora un po’.
Rinchiudi la sorpresa nell’aspettativa. 
Rinchiudi l’aspettativa nell’attesa. 
L’attesa della resa dei conti.

Logora.
Da dentro, l’amore.
Da fuori, la paura di sé.

Brucia.
Da dentro, l’ingenua passione.
Da fuori, il bisogno di farsi sentire. Da sé.

E non son gli opposti. E non son niente.

Il giudizio, né a me né agli altri.

Fai, senza troppe parole.
Come da piccolo.
Senza che nessuno ti veda.

sabato 20 novembre 2010

"Chi controlla il passato controlla il futuro. Chi controlla il presente controlla il passato."
George Orwell 

It’s raining cats and dogs

Piove.
Qui lo dico, e pure ad alta voce, perché la pioggia che batte sul mio soffitto mansardato fa molto rumore. Molto.
Sabato, in un’altra giornata uggiosa, sono andata a tagliarmi i capelli: da capello corto a capello corto. Da normalità ad audacia.
I consensi raccolti naturalmente non sono stati unanimi, ma quel che importa è che le persone giuste abbiano a loro modo espresso gradimento:
1.      Il mio ragazzo ha espresso gradimento in maniera molto convincente. Mui gradimento.
2.      Il mio migliore amico ha espresso gradimento in maniera molto fashion. Very pleasure.
3.    Il mio “mentore” ha espresso gradimento in maniera sociopatica. Emozione, molta. Emozione, molta. Pipa, fumo, un minuto, lavoro, di nuovo.
4.    Un nobile professore ha espresso gradimento con modi da mollusco. Grazie mille. Fa specialmente piacere.
Gli altri li ringrazio lo stesso, non tanto perché abbiano ugualmente espresso parere riguardo ad un argomento frivolo come il taglio di capelli, quanto perché abbiano comunque voluto partecipare di un argomento frivolo come il parrucco.



In quest’autunno di pioggia stare in equilibrio sugli alberi, le foglie gialle e rosse che moh cadono, significa avere un georgiano nella stanza accanto, che, paralizzato lui, paralizza dalla paura anche chi capita in corridoi di reparti proibiti. Significa, però, anche organizzare un'alternativa ad un noioso sabato sera, organizzare una cena di Natale in famiglia, con nuovi membri, significa immaginarsi future famiglie, con me come capafamiglia. E tanti rami, quest'albero, per fortuna!
Stare in equilibrio aiuta a non cadere, a stare sempre attenti a rimanere in equilibrio. Stare in equilibrio è quasi una garanzia, allora.
Ci penso e mi rendo conto che ci son cose che lascio apposta in uno stato di precarietà, per potermi accertare ogni giorno che siano ancora nel loro stato di precarietà. Ed ogni giorno contemplarle ed ogni giorno prendermene cura. Ci penso, prego per loro, voglio bene. Insomma. Così.
Vorrei che tutto potesse camminare su un filo. O meglio, vorrei che tutti sapessimo che ogni cosa di noi, ogni cosa a noi cara, ognuna delle nostre vite cammina su questo filo. E vorrei che tutti stessimo sempre a riaggiustarci e a riaggiustare un equilibrio, stando attenti a quando questo possa venir meno, anticipando questo momento, se no sarebbe troppo tardi.
Ci son volte in cui ti metti la mano davanti agli occhi, ancor prima di guardare l’orizzonte in una giornata di sole. Lo fai prima. Prima che questo ti accechi e ti impedisca di vedere.
La lungimiranza è l’arte dell’equilibrista: aggiustarsi i contrappesi prima di avvertire forza, direzione e verso. La lungimiranza è un’accortezza che i saggi ed esperti equilibristi adoprano con disinvoltura ineccepibile, ma è snobbata e derisa dall’incosciente che, per la prima volta sul filo, crede di poter prevenire una caduta, regolando il suo equilibrio, una volta che questo venga meno. Invece non c’è bisogno di conoscere ciò che ti farà vacillare per sapere che ti potrebbe far cadere. Non c’è bisogno di affrontare un pericolo per sapere che potrebbe essere tale. Non c’è bisogno di aver camminato sul filo tante volte per sapere che a cadere c’è sempre la possibilità.
C’è solo da riaggiustare gli equilibri, perdendoci la vita a conoscere di noi stessi ogni singola fibra muscolare che ci possa aiutare in questa impresa. E perdendoci i ghigni, le espressioni, piccoli segni di noi, intenti ed attenti. E noi non sappiamo, eppure ci sono.
[Così come non sanno, quelli nella 9, di chi ci sia nella 10F. Eppure c'è.]

martedì 16 novembre 2010

Ora.

Così





Saprai che non t'amo e che t'amo
perché la vita è in due maniere,
la parola è un'ala del silenzio,
il fuoco ha una metà di freddo.
Io t'amo per cominciare ad amarti,
per ricominciare l'infinito,
per non cessare d'amarti mai:
per questo non t'amo ancora.
... 
Il mio amore ha due vite per amarti.
Per questo t'amo quando non t'amo
e per questo t'amo quando t'amo.
PN

Due anni fa.

Mi sentivo così:


Nella strana anomalia della mia esistenza, i miei sentimenti non erano mai venuti dal cuore e le mie passioni erano sempre venute dalla mente.
Edgar Allan Poe 



domenica 14 novembre 2010

Inspiring others towards happiness brings you happiness.



E il cielo è blu.
Lo dici tu.
Sì, lo dico io. Anzi, è ciano. E’ sereno e so che si vedrebbe la torre della Telecom, se solo potessi sporgermi dalla finestra. Non posso farlo, però, perché i vicini mi vedrebbero.
Sto nascondendo i nostri momenti di pornoamore, amore, e, visto che hai lasciato le zanzariere aperte nella fretta di tirar giù le persiane per il primo “ciak”, so anche dirti con sicurezza di chi sia la colpa per la cimice sulla lampada Ikea.
Il cielo è ciano e tu hai un occhio destro nuovo che guardo ora per la prima volta dopo all’incirca 441,3343229583333 giorni che stiamo ufficialmente insieme. Il tuo occhio castano, vecchio ma nuovo, usato ma buono, più chiaro del mio. Mi guarda e mi chiede “per sempre”? Ti dono anche l’eternità, amore, ma fammi cambiare posizione se non vuoi una neverending story da 10 minuti appena.
Io ci sarò anche dopo che saranno finiti il gorgonzola, l’emmenthal, le uova, la cioccolata e il the. Quel tuo occhio nuovo, però, c’è da oggi. Giuro che non l’avevo mai notato prima.
E mi son bloccata lì: sotto il mio naso un occhio nuovo, con la coda dell’occhio una pennellata di ciano. E il tempo procedeva a scatti, saltando secondi. A tratti mi accorgevo. A tratti lucidamente mi sembrava che mi fosse svelato qualche strano segreto. A tratti aprivo i miei occhi già aperti. Ciano. Scatto. Occhio. Scatto.
Ecco, io in quel momento mi son sentita così nuova che non saprei nemmeno dire come mi son sentita. Mi son sentita che mi ha impressionato e me lo ricordo, tanto e vivido. E riferisco. Appendo in bacheca, giù in portineria, che così tutte passano, leggono e prendono atto. Sì, perché, a volte, c’è solo da prenderne atto.

lunedì 1 novembre 2010

Let them be you



Nella notte dei travestimenti, dei mostri e delle streghe, incontrando la morte dentro una Micra sulla strada per Rozzano, nella notte di Halloween, le coppie Luini e Peccati si sono date ai giochi in scatola.
Visual Game è stato vinto dalla coppia Luini, al che il mio ragazzo sportivissimo ha esclamato “Cambiamo gioco. Non mi piace perdere!”. E capisco come mai Dio li fa e poi noi ci accoppiamo. Lo capisco benissimo io, che, in un impeto di noia, dopo aver perso a Monopoli, aspettando che gli altri finissero il gioco, mi sono messa a giocare a biglie col fiaschetto, la mela e le altre pedine e pure con le casette, destando le ire dei partecipanti. Ero giovane, in una vacanza di capodanno di pochi anni fa.
Il mio amico Luino ha appena intrapreso un corso di improvvisazione teatrale ed è talmente entusiasta che propone “Giochiamo a Visual Game mimando!”. E capisco come mai siamo nati lo stesso giorno. Noi pesciolini ci piace molto giocare come quando si era bambini “Facciamo che io ero la mamma e tu eri il figlio cattivo…”.
Io sono contenta di mettermi a mimare proverbi e frasi celebri, mentre Luina e il mio ragazzo sportivo e vergognoso sono assolutamente contrari. Raggiungiamo un accordo: i pesci mimano e i gemelli disegnano. Una sorta di Visual Game autistico fra i vari concorrenti e fra i giocatori della stessa squadra, ma fra di noi ci si capisce e quindi il gioco ha inizio.
Quando ti vergogni a metterti in ridicolo, ma scopri che le altre persone sarebbero più ridicole di te nel farlo, eppure lo fanno lo stesso e non gli importa del giudizio, ma solo di ridere e di far ridere, allora non ti vergogni più, anzi ti ci butti e ci prendi gusto e non vedi l’ora che arrivi il tuo turno per le imitazioni. Il mio ragazzo sportivo è passato, così, da modalità vergognosa a cinema storico hollywoodiano. Io sono molto fiera di lui, cinematograficamente parlando.
Siamo pari. Peccati contro Luini. Medici contro fotografi. Noi ne sappiamo, ma loro ne vedono.
Pesco una carta e mi capita “Sano come un pesce”. A fare il pesce è facile, ma come si fa ad imitare una persona in salute? Nella concitazione della clessidra, ho deciso di imitare un perfetto stato di salute, passando dapprima per la malattia. Perché la malattia è statica, riproducibile, ma la salute proprio no. La malattia ti ferma e desta attenzione, la salute invece è scontata e non la riconosci (a meno che tu non lavori in un reparto per acuti e allora ringrazi il cielo di vedere gente che cammina sulle proprie gambe).
Questo mi ha aperto un interrogativo mentale che mi attanaglia anche oggi che le streghe si son tolte il cappello, ma non possono togliersi il loro brutto porro sul loro grosso naso.
Penso che la malattia sia sopravvalutata e la salute sottovalutata. Non parlo della salute fisica: questo è un tema molto delicato, in cui la malattia assume una dimensione molto personale e non assolutamente criticabile. Parlo, invece, della salute mentale, intesa come senso di benessere psicologico, al di là della patologia psichiatrica, e quindi documentabile.
Il disagio interiore è IN, star bene dentro è OUT. Mi sembra che la gente arranchi nella tristezza, per poi crogiolarsene nel proprio intimo. Mi sembra che la gente faccia la guerra con sé stessa, invece di creare la pace con gli altri. Mi sembra a me, ovviamente.
Io non sopporto la mancanza di serenità che trasuda da molte affermazioni che sento, da molte parole che leggo in giro, anche e soprattutto per l’etere. Leggo di questi disguidi interiori che, invece di essere superati, vengono reiterati. Io non sopporto la reiterazione di un atteggiamento negativo. Non la sopporto perché ne ho paura. Io ho paura della gente infelice. Gente, non ti vieto il diritto all’infelicità, ma ti vieto di abrogarti di diritto la costante all’infelicità.
Io, nei miei momenti bui, ho sempre desiderato ardentemente essere felice. Poi, quando i momenti bui sono passati, ho capito che felice lo ero anche quando non riuscivo a vedere ad un palmo dal mio naso. Ero disperata, ma felice. Ci speravo e questo bastava a sentirla. Ho provato a crogiolarmi nei dolori e i dolori diventavano ancora più atroci. Così non mi sono fermata e loro mi hanno seguita, fedeli. E la fedeltà si è trasformata in una grande spinta: quando mi fermo, loro mi spingono avanti. Giusto o sbagliato, questo è il mio modo.
Gente, giusto o sbagliato, questo è il tuo. Io, però, ad avvertire questo grigiume, questa uggiosità del paese in cui abiti, questo digrignare di denti, questo ricacciare indietro le lacrime, questo conversare solo fra te e te, io, dicevo, nel tuo paese non ci voglio venire, manco per un weekend. Perché mi fai rabbia e paura. Paura, soprattutto.
La rabbia e la paura le so imitare, la salute no. Ed io vorrei esprimermi solo attraverso quest’ultima. Quindi, gente, scusami, ma non scomodarti nemmeno a mandarmi una cartolina. Vieni a trovarmi tu, semmai, che qui c’è il sole anche quando piove. E quando nevica c’è un camino caldo e scoppiettante e odore di legna bruciata e un sacco di risate. Mimando “prender lucciole per lanterne”. Se poi ti dovessi perdere, ricordati che “tutte le strade portano a Roma”.