S.I.N.G.L.E.
Simona: alla perenne ricerca di una miglioria. Il mio io avrebbe fame di arricchirsi di respiro in raspino, di battito di ciglio in battito d’ali, di sguardo profondo in sguardo assente. Due occhi, un naso, una bocca e due orecchie. Un taglio di capelli corto e asimmetrico che mi faccia sentire un po’ più nuova e un po’ truccata. E poi mi faccia sentire l’esigenza di comprarmi qualcosa da mettermi, perché, che schifo, guarda come vado in giro adesso che ho un taglio superfashionstylefromlondontojapanandreturntomilan. Un sabato sera alternativo, per cui cecarmi con due lenti a contatto e spennellare un po’ di mascara non mi peserebbe oltremodo.
Infinite pedalate nella Monza longobarda, con la sigaretta rigorosamente a sinistra, che la destra non la potrei mai staccare dal manubrio per portarmela alla bocca, se no perderei l’equilibrio rovinando a terra. Illuminate chiacchierate sul senso della vita di Simona, che riflette su tutti gli eventi, che accadono a lei e a chi la circonda e anche a chi non conosce, ma di cui ha sentito parlare dalla tizia seduta affianco a lei in metro nelle fermate da Cadorna a Loreto (che peccato dover scendere). Tante persone ad ascoltare, poche ad intervenire veramente. Innumerevoli pensieri rassicurati da me stessa, me stessa medesima, l’amministratrice di condominio, la portinaia, la donna delle pulizie, quella del quarto piano con lo stereo a palla, quella del primo che dà ripetizioni di latino, la cantante lirica del terzo, l’avvocato delle cause perse del secondo, e tante altre pazienti me, fra cui ricordiamo la postina, la venditrice porta a porta, la testimonial del dio dei non trasfondibili, la commessa della boutique di bigiotteria al pian terreno… et al.
Non mi piegherei alla solitudine, al vuoto, all’inerzia del ristagno mentale, ai viscidi meschini, ai “veniamoci incontro”, al buon viso a cattivo gioco. Non mi piegherei per guardare la polvere sotto il letto e nemmeno quella dentro di me. Non sorriderei se fossi incazzata, ma lo farei se fossi triste. Non mi arrabbierei se fossi incazzata, ma lo farei se fossi triste. Non sprecherei inutili parole per inutili persone, ma inutili pensieri per utili preoccupazioni. Non muoverei un passo in modalità “atletica” nemmeno se mi regalassero un centro fitness. Non rinuncerei, però, ad un buon idromassaggio e massaggio con oli di jojoba, arnica, oliva, di semi di mais, di ricino, di palma, di mandorle, del centro fitness.
Girerei la testa nei pensieri come gli occhi nei paesaggi infiniti dell’anima. Girerei la macchina in un’inversione a U in un repentino cambio di programma, ridendo, hihi, col compagno di viaggio del momento (certe “pazzie” non si fanno mica mai da soli, come minimo con gli amici immaginari. Se sei più sano mentalmente, allora con gli amici veri). Griderei per sentire la mia eco e vergognarmene un po’ per poi ricordarmi che eco è femminile e non maschile, ma finisce per “o” e mi pare un controsenso. Questo, sì, maschile singolare.
Legherei le mie passioni ad un granello di sabbia – come diceva Fidenco…ahiahiahi. Qualcosa che ricordi il mare, che lancia e riprende le sue onde, libere e schiave, ma sempre rampanti, minacciose, veloci, mute e urlanti. Le legherei alle mie paure, così da farmi trainare, quando pietrificata non potrei muovere un passo in più. Lancerei dalla finestra tutti i vestiti, tranne una maglietta e un paio di pantaloni. Laverei via il superfluo che mi offende, che mina la mia voglia di essere sinceramente felice.
E mi sentirei bene, senza troppe pretese, con un mezzo sorriso, beffarda e poco meravigliata dell’anormalità che questo mondo offre. Mi calzerebbe a pennello, come starebbe bene a tutti: un bel punto di domanda, seguito da due occhi che si spalancano in un sorriso, che nasconde una manciata di paure e una manciata di coriandoli. Che ti dice, con le mani dietro la schiena “Sinistra o destra” e tu capisci subito che non sta parlando di politica, ma che devi scegliere se spaventarti di paure se aprirà una mano, o spaventarti per aver avuto paura di scegliere, se aprirà la mano che pesa di meno, quella coi pezzetti di carta colorati, quelli che ti si infilano dappertutto e che rimangono settimane a terra dopo il carnevale.
“E” non sarebbe semplicemente una congiunzione, ma il preludio ad un mistero.
C.O.P.P.I.A.
Capirei che di migliorare non si finisce mai ed allora potrei anche smettere di affannarmi e lasciar fare alla mia vita, che scorre con me ed anche un po’ senza di me. Lascerei acquietare il mio io di respiro sussurrato in russare amplificato, di schiocco di bacio in solletico di labbra, di sguardo profondo in sguardo assonnato. Due occhi per guardarti in tutti i modi in cui non mi accorgo nemmeno di viverti, un naso da mettere sotto la tua ascella e ricordare un luogo e avere nostalgia di un tempo e non di una persona, una bocca per parlare, confessarmi, redarguirti, consigliarti, sfotterti e, per ultimo, amarti. Due orecchie per ascoltarti: una per tutte le news che hai da raccontare, l’altra per tutte le cose che non ti accorgi di ripetere, caro il mio Tatone.
Un taglio di capelli corto e asimmetrico che conservi sempre un ciuffo un po’ lunghino, così tu riuscirai a prendermi, a tirarmi i capelli e saremo contenti in due. Un sabato sera alternativo: chissene. E pure delle lenti a contatto. Magari il mascara e un paio di tacchi per sogni erotici realizzati poi a piedi nudi.
Obbedirei alle me che si fidano ciecamente di te, obbedirei anche al tuo amico invisibile Michele, che, ormai, si può dire sia diventato un po’ anche amico mio.
“O” non sarebbe mai più una disgiunzione, ma il preludio ad una serie di alternative che il nostro stare insieme ci offre ogni giorno.
Ottimizzerei tutti i tempi che non ho mai posseduto, per regalarci un non tempo condizionale solo per la nostra serenità.
Parlerei della mia fortuna, che non sei tu, ma il mio essermi abbandonata a ciò che non si decide e non si ragiona continuando a non prendermi mai sul serio ed iniziando ad emozionarmi pur continuando ad esserne terrorizzata. Parlerei di noi, che siamo la coppia più bella del mondo e mi dispiace per gli altri, ma quest’ultima cosa non gliela direi se no mi attirerei addosso un po’ di astio e Dio non voglia che io sia circondata di odio quando ho tanto amore dentro!
Proporrei di sotterrare l’ascia di guerra, che la guerra è una finzione di chi si annoia nel suo stare fermo, paralizzato da paure che non esistono. Che la guerra vera è brutalmente inimmaginabile, che ci dovremmo sentire solo che contenti a poterci divertire di gusto, col tanto del poco che la vita ci offre. Con le chiacchiere, i giochi di parole, le immagini buffe, i cartoni animati, le figure di merda, i “non cambierai mai”, il solletico, le prese in giro, le battute che fanno ridere, ma soprattutto quelle che non fanno ridere e per questo ridi ancora di più.
“Perché” non sarebbe più un avverbio interrogativo alla ricerca di risposte, ma semplicemente “perché” nei secoli dei secoli amen. Che le risposte le trovi pure qualcun altro, mentre io continuo a ripetere provocatoriamente, come fanno i bambini alla scoperta del mondo “E pecchè? E pecchè?”.
“Perché” non sarebbe più un avverbio interrogativo alla ricerca di risposte, ma semplicemente “perché” nei secoli dei secoli amen. Che le risposte le trovi pure qualcun altro, mentre io continuo a ripetere provocatoriamente, come fanno i bambini alla scoperta del mondo “E pecchè? E pecchè?”.
Piglierei verbalmente a calci i soprusi passati. Piglierei in mano la giustizia e ci schiaffeggerei chi ha arrecato sofferenza ingiustamente. Piglierei sempre più coraggio per andare avanti in questo cammino tutto in salita con funicolare. Che non so se la funicolare sei tu o il coraggio che mi dai, ma che differenza fa, tanto faccio poca fatica ugualmente.
Pronuncierei più volte “tze, tze”, perché, si sa, alla luce di nuovi e sereni punti di vista, niente significa più ciò che significava prima e non significherà mai ciò che potrebbe un giorno significare più di domani, meno di ieri, oggi uguale a prima, insomma te amo cada dia mas su un anello, ma pure sul cuore.
Indicherei le onde, col ditino del “No, sul gelato no” e ti ripeterei per l’ennesima volta, da brava Tatona, quale anche io sono, il mito della loro voce, lo shiosai del mare e tu protresti pure non ricordarti che te l’ho già detto ed io metterei la faccia in modalità “rassegnata-sei sempre il solito” e mi tranquillizzerei della nostra normalità, così poco da film romantico, da esser quasi da colossal, per quanto irriducibile e vecchio. Poi ti indicherei un merlo, una cimice, da mangiare. Poi con lo stesso dito ti toccherei la guancia e tu la gonfieresti e poi via come solito, talmente solito che non me lo so ricordare.
Ah, amore, tutto questo era per dirti che talvolta il tuo nonfiltro mi stimola a spunti di riflessione, quasi quanto la tua paraculaggine. In questo caso sto parlando della tua bizzarra uscita di ieri in metro, da Cadorna a Garibaldi, quando mi dicesti “Io questo weekend faccio il single”…Cosa fai tu?
“A” non è solo la prima vocale, non è solo la prima lettera dell’alfabeto, ma anche l’iniziale della parola Amore e anche di Arcobaleno, ma pure di Albero ed anche di abete, che è un tipo di albero con le foglie ad ago, la cui sezione interna ricorda in tutto e per tutto la sezione interna delle sue stesse radici. Quel che si suol dire esser coerenti.
Ah, “A” è anche l’iniziale di Andrea.
Nessun commento:
Posta un commento