mercoledì 29 settembre 2010

Terra terra



Domani me ne vado al mare.

Alle 6.45 passa Andre a prendermi e poi direttamente all’aeroporto che alle 8.30 c’è il nostro volo per Trapani. Poi dalla terra ferma all’isola. Favignana. Una settimana di mare.
Non pregusto niente e non mi aspetto niente, come mio solito. Motivo per cui mi è sempre un po’ difficile preparare la valigia: non riesco ad inquadrare bene che cosa ficcarci, non riesco ad organizzarmi, perché non so che cosa farò. Non lo immagino finchè non lo vivo, non lo pregusto, ma lo gusto e basta.
Così da domani mattina mi sentirò autorizzata a chiudere i battenti del mio cervello, allontanandomi fisicamente e mentalmente da tutta la mia realtà humanitaria. Adesso devo convincere Simona che si deve staccare quanto più possibile dalle radici terrene del Norditalia e riattaccarsi a quelle meno terrene del Suditalia. Meno terrene e più galleggianti, più ondose, più isolane. Che poi lo sa Simona che un’isola sempre terra è, ma si scompensa un po’ a vedere mare a pieno orizzonte in versione foto panoramica, ovvero trecentosessantagradi.
La missione potrebbe risultare ardua, ma non impossibile. Ardua per una manciata di motivi:
- Simona nutre una leggera irritazione per tutti quei mezzi di trasporto che non utilizzano la terra per avanzare nella direzione di arrivo.
Simona è lenta, ma di una lentezza da invertebrato. Tanto nelle azioni quotidiane, quanto nell’esperire. Per cui esperirà il clima vacanza a metà vacanza e abbandonerà il clima dottoressa Giò hypomaniac version forse un po’ tardi e si perderà sicuramente qualcosa di bellissimo. Qualcosa che comunque adesso non potrebbe mai immaginare e nemmeno un secondo prima di viverlo.
- Simona ha un mare dentro, composto da almeno un migliaio di onde. Occhio e croce. Avanti e indietro. Avanti e indietro. Frish e frush. Frish e frush. Spumeggiante. Retreggiante. Galoppante. Disarmante.
Se si somma il moto ondoso del piccolo mare di Simona - prima ho un po’ esagerato: possiamo pure definirla una piscina con le onde artificiali - col moto ondoso del mare Mediterraneo, composto, in quella parte, dal mar Tirreno e dal mar Ionio, a loro volta composti da una moltitudine più che infinita di onde, il risultato è un gran casino di frish e frush. Frish e frush alla n.
Dopo una settimana si possono ben intuire quali saranno le ovvie conseguenze.
- Simona si immagina sull’isola come un surfista alla prima lezione su una tavola da surf. In bilico, con paura di cadere, senza il controllo di ciò che ha sotto il culo o sotto i piedi e senza cordino di sicurezza attaccato alla caviglia. Lei sa benissimo che un’isola non è una tavola di terra che galleggia sull’acqua, con le onde. Lei lo sa che è una punta di terra che sputa la sua lingua, ma affonda i piedi nelle profondità del mare, con le onde.


Eppure non si immagina nulla. E ci scrive parole ancor di minor senso.


Insomma, io parto.
E tutto ciò che posso immaginare è ciò di cui già ho esperienza.
Immagino il mio amore. Il sonno vicini, soprattutto.
Sonno e sogno in spagnolo rispondono alla stessa parola, sueño. Forse perché son considerati concettualmente la stessa cosa. Forse perché è ovvio che quando ti addormenti sogni.
Forse è per questo che, quando dormo con te, amore, non sogno quasi mai.

sabato 25 settembre 2010

Passaggi di status






S.I.N.G.L.E.
Simona: alla perenne ricerca di una miglioria. Il mio io avrebbe fame di arricchirsi di respiro in raspino, di battito di ciglio in battito d’ali, di sguardo profondo in sguardo assente. Due occhi, un naso, una bocca e due orecchie. Un taglio di capelli corto e asimmetrico che mi faccia sentire un po’ più nuova e un po’ truccata. E poi mi faccia sentire l’esigenza di comprarmi qualcosa da mettermi, perché, che schifo, guarda come vado in giro adesso che ho un taglio superfashionstylefromlondontojapanandreturntomilan. Un sabato sera alternativo, per cui cecarmi con due lenti a contatto e spennellare un po’ di mascara non mi peserebbe oltremodo.
Infinite pedalate nella Monza longobarda, con la sigaretta rigorosamente a sinistra, che la destra non la potrei mai staccare dal manubrio per portarmela alla bocca, se no perderei l’equilibrio rovinando a terra. Illuminate chiacchierate sul senso della vita di Simona, che riflette su tutti gli eventi, che accadono a lei e a chi la circonda e anche a chi non conosce, ma di cui ha sentito parlare dalla tizia seduta affianco a lei in metro nelle fermate da Cadorna a Loreto (che peccato dover scendere). Tante persone ad ascoltare, poche ad intervenire veramente. Innumerevoli pensieri rassicurati da me stessa, me stessa medesima, l’amministratrice di condominio, la portinaia, la donna delle pulizie, quella del quarto piano con lo stereo a palla, quella del primo che dà ripetizioni di latino, la cantante lirica del terzo, l’avvocato delle cause perse del secondo, e tante altre pazienti me, fra cui ricordiamo la postina, la venditrice porta a porta, la testimonial del dio dei non trasfondibili, la commessa della boutique di bigiotteria al pian terreno… et al.
Non mi piegherei alla solitudine, al vuoto, all’inerzia del ristagno mentale, ai viscidi meschini, ai “veniamoci incontro”, al buon viso a cattivo gioco. Non mi piegherei per guardare la polvere sotto il letto e nemmeno quella dentro di me. Non sorriderei  se fossi incazzata, ma lo farei se fossi triste. Non mi arrabbierei se fossi incazzata, ma lo farei se fossi triste. Non sprecherei inutili parole per inutili persone, ma inutili pensieri per utili preoccupazioni. Non muoverei un passo in modalità “atletica” nemmeno se mi regalassero un centro fitness. Non rinuncerei, però, ad un buon idromassaggio e massaggio con oli di jojoba, arnica, oliva, di semi di mais, di ricino, di palma, di mandorle, del centro fitness.
Girerei la testa nei pensieri come gli occhi nei paesaggi infiniti dell’anima. Girerei la macchina in un’inversione a U in un repentino cambio di programma, ridendo, hihi, col compagno di viaggio del momento (certe “pazzie” non si fanno mica mai da soli, come minimo con gli amici immaginari. Se sei più sano mentalmente, allora con gli amici veri). Griderei per sentire la mia eco e vergognarmene un po’ per poi ricordarmi che eco è femminile e non maschile, ma finisce per “o” e mi pare un controsenso. Questo, sì, maschile singolare.
Legherei le mie passioni ad un granello di sabbia – come diceva Fidenco…ahiahiahi. Qualcosa che ricordi il mare, che lancia e riprende le sue onde, libere e schiave, ma sempre rampanti, minacciose, veloci, mute e urlanti. Le legherei alle mie paure, così da farmi trainare, quando pietrificata non potrei muovere un passo in più. Lancerei dalla finestra tutti i vestiti, tranne una maglietta e un paio di pantaloni. Laverei via il superfluo che mi offende, che mina la mia voglia di essere sinceramente felice.
E mi sentirei bene, senza troppe pretese, con un mezzo sorriso, beffarda e poco meravigliata dell’anormalità che questo mondo offre. Mi calzerebbe a pennello, come starebbe bene a tutti: un bel punto di domanda, seguito da due occhi che si spalancano in un sorriso, che nasconde una manciata di paure e una manciata di coriandoli. Che ti dice, con le mani dietro la schiena “Sinistra o destra” e tu capisci subito che non sta parlando di politica, ma che devi scegliere se spaventarti di paure se aprirà una mano, o spaventarti per aver avuto paura di scegliere, se aprirà la mano che pesa di meno, quella coi pezzetti di carta colorati, quelli che ti si infilano dappertutto e che rimangono settimane a terra dopo il carnevale.
“E” non sarebbe semplicemente una congiunzione, ma il preludio ad un mistero.

C.O.P.P.I.A.
Capirei che di migliorare non si finisce mai ed allora potrei anche smettere di affannarmi e lasciar fare alla mia vita, che scorre con me ed anche un po’ senza di me. Lascerei acquietare il mio io di respiro sussurrato in russare amplificato, di schiocco di bacio in solletico di labbra, di sguardo profondo in sguardo assonnato. Due occhi per guardarti in tutti i modi in cui non mi accorgo nemmeno di viverti, un naso da mettere sotto la tua ascella e ricordare un luogo e avere nostalgia di un tempo e non di una persona, una bocca per parlare, confessarmi, redarguirti, consigliarti, sfotterti e, per ultimo, amarti. Due orecchie per ascoltarti: una per tutte le news che hai da raccontare, l’altra per tutte le cose che non ti accorgi di ripetere, caro il mio Tatone.
Un taglio di capelli corto e asimmetrico che conservi sempre un ciuffo un po’ lunghino, così tu riuscirai a prendermi, a tirarmi i capelli e saremo contenti in due. Un sabato sera alternativo: chissene. E pure delle lenti a contatto. Magari il mascara e un paio di tacchi per sogni erotici realizzati poi a piedi nudi.
Obbedirei alle me che si fidano ciecamente di te, obbedirei anche al tuo amico invisibile Michele, che, ormai, si può dire sia diventato un po’ anche amico mio.
“O” non sarebbe mai più una disgiunzione, ma il preludio ad una serie di alternative che il nostro stare insieme ci offre ogni giorno.
Ottimizzerei tutti i tempi che non ho mai posseduto, per regalarci un non tempo condizionale solo per la nostra serenità.
Parlerei della mia fortuna, che non sei tu, ma il mio essermi abbandonata a ciò che non si decide e non si ragiona continuando a non prendermi mai sul serio ed iniziando ad emozionarmi pur continuando ad esserne terrorizzata. Parlerei di noi, che siamo la coppia più bella del mondo e mi dispiace per gli altri, ma quest’ultima cosa non gliela direi se no mi attirerei addosso un po’ di astio e Dio non voglia che io sia circondata di odio quando ho  tanto amore dentro!
Proporrei di sotterrare l’ascia di guerra, che la guerra è una finzione di chi si annoia nel suo stare fermo, paralizzato da paure che non esistono. Che la guerra vera è brutalmente inimmaginabile, che ci dovremmo sentire solo che contenti a poterci divertire di gusto, col tanto del poco che la vita ci offre. Con le chiacchiere, i giochi di parole, le immagini buffe, i cartoni animati, le figure di merda, i “non cambierai mai”, il solletico, le prese in giro, le battute che fanno ridere, ma soprattutto quelle che non fanno ridere e per questo ridi ancora di più.
“Perché” non sarebbe più un avverbio interrogativo alla ricerca di risposte, ma semplicemente “perché” nei secoli dei secoli amen. Che le risposte le trovi pure qualcun altro, mentre io continuo a ripetere provocatoriamente, come fanno i bambini alla scoperta del mondo “E pecchè? E pecchè?”.
Piglierei verbalmente a calci i soprusi passati. Piglierei in mano la giustizia e ci schiaffeggerei chi ha arrecato sofferenza ingiustamente. Piglierei sempre più coraggio per andare avanti in questo cammino tutto in salita con funicolare. Che non so se la funicolare sei tu o il coraggio che mi dai, ma che differenza fa, tanto faccio poca fatica ugualmente.
Pronuncierei più volte “tze, tze”, perché, si sa, alla luce di nuovi e sereni punti di vista, niente significa più ciò che significava prima e non significherà mai ciò che potrebbe un giorno significare più di domani, meno di ieri, oggi uguale a prima, insomma te amo cada dia mas su un anello, ma pure sul cuore.
Indicherei le onde, col ditino del “No, sul gelato no” e ti ripeterei per l’ennesima volta, da brava Tatona, quale anche io sono, il mito della loro voce, lo shiosai del mare e tu protresti pure non ricordarti che te l’ho già detto ed io metterei la faccia in modalità “rassegnata-sei sempre il solito” e mi tranquillizzerei della nostra normalità, così poco da film romantico, da esser quasi da colossal, per quanto irriducibile e vecchio. Poi ti indicherei un merlo, una cimice, da mangiare. Poi con lo stesso dito ti toccherei la guancia e tu la gonfieresti e poi via come solito, talmente solito che non me lo so ricordare.
Ah, amore, tutto questo era per dirti che talvolta il tuo nonfiltro mi stimola a spunti di riflessione, quasi quanto la tua paraculaggine. In questo caso sto parlando della tua bizzarra uscita di ieri in metro, da Cadorna a Garibaldi, quando mi dicesti “Io questo weekend faccio il single”…Cosa fai tu?
“A” non è solo la prima vocale, non è solo la prima lettera dell’alfabeto, ma anche l’iniziale della parola Amore e anche di Arcobaleno, ma pure di Albero ed anche di abete, che è un tipo di albero con le foglie ad ago, la cui sezione interna ricorda in tutto e per tutto la sezione interna delle sue stesse radici. Quel che si suol dire esser coerenti.
Ah, “A” è anche l’iniziale di Andrea.
                                                                                  

domenica 19 settembre 2010

Karmic procrastination

Dovrei passare allo scanner un sacco di foto, ma mi fa male il mignolo destro e potrei utilizzare questa pena come scusa a me stessa per procrastinare qualcosa che da sola mi ero proposta di fare. Insomma. Forse mi sono rotta la materia grigia molto tempo prima del mignolo. Molto prima di ieri alle 18, quando sotto il diluvio universale davanti al fotografo, la portiera dell’auto è stata attratta fatalmente dal mio quinto dito della mano destra, quando, travolta da un’irruente passione, che contraddistingue tutte le Punto ultradecennali, si è protesa verso la mia articolazione metacarpo-falangea. Dio, che dolore. Fatalità.
Il mio cervello, invece, non ricordo sia mai incappato in una portiera grigio metallizzato in una settembrina giornata di pioggia battente. Il mio cervello non so proprio che esperienza abbia vissuto per essere ciò che è ora. Credo che nella sua vita precedente sia stato realmente un encefalo, con tanto di floride circonvoluzioni, solchi, membrane meningee e ventricoli ed anche un sacco di liquido cefalo-rachidiano. Solo che poi, per una questione karmica, suppongo, è stato promosso a condominio, anzi, a casa di cortile, da ristrutturare, per giunta. Ora c’è un sovraffollamento da casa popolare in rione partenopeo normosgarrupato. Talvolta arrivano i carabinieri per schiamazzi notturni, ma, tutto sommato, il clima è disteso, il più delle volte, come i panni da asciugare stesi fuori dalle finestre, funamboli da un opposto all’altro del cortile interno del condominio.
Il mignolo, karmapparte, lo faccio vedere domani da un traumatologo in pronto soccorso. Ci vado col camice, così faccio la tamarra e salto le code kilometriche. [Io, nella mia vita precedente, invece, devo essere stata il pavimento di un ufficio postale e domani sconterò la mia rivincita.]
Gli esiti di questa visita potrebbero essere verosimilmente solo due:
1.  dito indolenzito, ma libero come ogni mignolo di mano destra che non abbia praticato petting spinto con la portiera di una Punto grigio metallizzato;
2. dito steccato, a riprova del fatto che ha assunto atteggiamenti poco opportuni con una portiera di malaffare.
Entrambi gli esiti dovrebbero essere accompagnati da una radiografia della mia manina. Mi impegnerò a non far gestacci, prometto.

venerdì 3 settembre 2010

Che.


Che ci sono persone alle quali semplicemente non piacete, qualsiasi cosa facciate[…]
Che nonostante pensiate di essere furbi, non lo siete molto.[…]
Che la privazione intenzionale del sonno può essere anch’essa una fuga dalla realtà di cui si può abusare.[…]
Che non occorre amare qualcuno per imparare da lui/lei/esso.
Che la solitudine non è una funzione di isolamento. […]
Che la validità logica di un ragionamento non ne garantisce la verità.
Che le persone cattive non credono mai di essere cattive, ma piuttosto che lo siano tutti gli altri.
Che è possibile imparare cose preziose da una persona stupida. […]
Che è statisticamente più facile liberarsi di una dipendenza per le persone con un Qi basso che per quelle con un Qi più alto. […]
Che le attività noiose diventano perversamente molto meno noiose se ci si concentra molto su di esse.
Che se un numero sufficiente di persone beve caffè in una stanza silenziosa, è possibile sentire il rumore del vapore che si leva dalle tazze.
Che a volte agli essere umani basta restare seduti in un posto per provare dolore.
Che la vostra preoccupazione per ciò che gli altri pensano di voi scompare una volta che capite quanto di rado pensano a voi.
Che esiste una cosa come la cruda, incontaminata, immotivata gentilezza.
Che è possibile addormentarsi di botto durante un attacco d’ansia.
Che concentrarsi intensamente su qualcosa è un lavoro duro.
Che la dipendenza è un disagio o una malattia mentale o una condizione spirituale (quando si dice « poveri di spirito » ) o una forma di Disturbo Ossessivo-Compulsivo o un disturbo affettivo e del carattere […]
Che la maggior parte delle persone con una dipendenza da Sostanza è anche dipendente dal pensare, nel senso che ha un rapporto compulsivo e insano con il proprio pensiero.[…]
Che è semplicemente più piacevole essere felici che incazzati. […]
Che le persone di cui avere più paura sono quelle che hanno più paura.
Che ci vuole grande coraggio per mostrarsi deboli. […]
Che praticamente tutti si masturbano. E tanto, a quanto pare.
Che il cliché « Non so chi sono » sfortunatamente si rivela più di un cliché. […]
Che gli altri, anche se sono stupidi, riescono spesso a vedere cose di voi che voi non riuscite a vedere. […]
Che è consentito volere.
Che tutti sono identici nella segreta tacita convinzione di essere, in fondo, diversi da tutti gli altri. Che questo non è necessariamente perverso. […]
Infinite Jest
David Foster Wallace

mercoledì 1 settembre 2010

http://fromme-toyou.tumblr.com

L'alba dentro l'imbrunire


Ci sono dei momenti in cui ti rendi conto che forse qualcosa sta per cambiare. Come quando ti prude il naso un attimo prima di starnutire. Quei momenti che racchiudono segni. Piccole cose, all’apparenza insignificanti, ma che urlano silenziosamente “Simona, arriva una nuova era…Non prepararti, tanto non puoi!”.
E così vedo lumache che s’accoppiano, in un’umida ma rinfrescata sera di inizio estate, sulla passeggiata sul lungofiume.
E così non riesco più a dormire bene: i miei due fantastici cuscini sono diventati inutili e sto scomoda. A pancia in giù, mia posizione storica preferita, non prendo sonno. Su un fianco nemmeno. Ora mi addormento a pancia in su, con la testa dritta, che non gira né a destra né a sinistra. Manco fossi morta.
E poi non ho fame e voglio le verdure. Preferisco evitare il caffè. Solo le sigarette rimangono uguali, per tipo e numero!
Sento che qualcosa si sta smuovendo. Non in me. Tutto intorno a me mi smuove a smuovermi. Mi impone di cambiare, di rivedere qualcosa, di rivivere diversamente.
Mi sento leggera, trasportata dalle solleticanti sensazioni che mi provoca il mondo, accarezzandomi. Mi immagino a stiracchiarmi, con la testa rivoltata all’indietro e gli occhi chiusi. Tutto si distende, riprende fiato.
Mi accorgo, rendendomene conto, che scendo in me stessa, mi addentro senza tabù e quasi senza le solite cortesie e i rifiuti che il parlar con la mia me mi impone. Sono più disponibile a me stessa. Siamo tutte d’accordo e tutte una.
E non si deve parlare, bisogna solo lasciarsi prendere per mano e farsi trascinare, ancora sonnecchianti mentre ci si stropiccia gli occhi, verso dove non si sa e non importa nemmeno saperlo. Perché quando non capisci più come sei, che forma hai, allora ti stai plasmando alla vita che scorre. E tu scorri con lei. Tutto scivola, ma ogni cosa è inondata dal tuo desiderio di conoscenza.
Si metta in salvo chi non sa nuotare.