Quando rimani solo con le cose, quando capisci che fra te e la realtà c’è solo la responsabilità di ciò che è bene o meglio per te stesso, allora capisci che ciò che vivi è importante, che raccontarlo e condividerlo con gli altri, con i tuoi amici fidati, non cambierebbe, comunque. Non potrebbe, perché è un incontro con il destino, con l’inevitabile che ti deve accadere e che devi vivere. Per forza. Vivere per forza, quando si è sopravvissuti spontaneamente senza accorgersene, per troppo tempo nella vita. Quando sopravvivere è stato confuso con la sana abitudine a tapparsi le orecchie al richiamo. Al richiamo indefinito di qualcosa altrettanto astratta, che non conosciamo, che non abbiamo mai conosciuto. Quando rimani solo con la stessa domanda a vorticarti nel cervello, forse pensi che la risposta sia un imperativo categorico, l’inizio di una ricerca, di una metanalisi, per poter poi dire o sì o no.
La risposta invece è vivere. Vivere quell’attimo sapendo di non poterlo raccontare, il segreto dei segreti. Avrà comunque senso, pur non essendo compreso. Come fai a comprendere una cosa che non puoi spiegare? Puoi spiegare il brivido che ti prende quando realizzi che non ci sono santi che tengano e che quella cosa su di te dovrà avere un impatto considerevole, proprio perché la stai già aspettando?! No, non lo puoi spiegare, ma lo sai. E questo già tanto basta.
Ci sono persone che vengono accusate di non riuscire a vedere al di là del proprio naso, ma forse non è peggio non riuscire a vedere dentro sè stessi? E’ peggio: ci costruiamo falsi io, personali categorizzazioni, dove rinchiudiamo ogni cellula del nostro corpo, ogni pulsione al pensiero. Partiamo con pregiudizi, verso noi stessi. Ci pregiudichiamo la conoscenza, di noi stessi. E, hai voglia ad urlare che ci sei e vuoi conoscerti, che, sì, va bene, sei bravo, ti impegni, la mattina ti svegli presto, fai ogni cosa al massimo delle tue possibilità, non bevi troppo, non fumi, sei educato, cerchi di non perdere la pazienza, fai del bene per riceverne in cambio. Ma che cambia? Che c’entra? Cos’è? Perché lo fai? E il giusto diventa regola e regola diventa sinonimo di costrizione e poi si soffoca e poi ci si allontana e poi si fa fatica a riavvicinarsi. Al me, me stesso, medesimo, non a Simona, che pure sì sono io, ma sono io nel mio interfacciarmi col mondo, che pure sono io, perché io lo sto guardando.
E allora va bene fare le cose con Simona, ma farle con me stessa no. Quando Simona esce di casa, con chi rimango? Dai, sediamoci qui in cucina e fumiamoci una sigaretta mentre metto su un caffè. Ce l’ho anche decaffeinato. Oppure preferisci dell’orzo? Sì, se vuoi l’acqua serviti pure da sola, ce l’ho in frigo, i bicchieri sono lì, apri, sopra al lavandino. Già, fa caldo. E mi immagino il silenzio, il caldo silenzio dell’estate del sud, che non vola una mosca, perché morirebbe di fatica o annegata nel suo stesso sudore. Così mi immagino quest’incontro, da sola, con le mille me, e già mi piacciono, perché sorridono, sono comode, disarmate. Me le immagino con quel sorriso che penso di avere in tutte quelle occasioni in cui mi sento una stupida, in cui mi sento scoperta, l’aria un po’ matta di quella che annaspa nelle sue piccole simpatiche sfighe. Con la fossetta asimmetrica che non mi ricordo mai su quale guancia stia, morbida sempre e dovunque. Da abbracciare, anche solo col pensiero. E già le vedo tutte sorelle, le mille me, le mille giornate di vita, in cui non sono sopravvissuta a nulla, anzi, magari sono pure morta. Arrendendomi al dolore, alla perdita, alla sconfitta, al nuovo capitolo, alla ricreazione, alla pagina bianca.
E mi viene in mente che chissà chi disse “una pagina bianca è una poesia nascosta”, carino!, ma io non sono brava a capirle, le poesie, nemmeno a leggerle, anzi, le rime non mi piacciono, mi fanno vergognare per chi le scrive, per chi, penso io, se la tira un po’ troppo e forse sarebbe meglio parlasse come mangia. Per me se una frase suona bene è poesia, se un quadro mi piace è un’opera, se la melodia di una canzone mi accarezza di brividi è la mia colonna sonora. E lì finisce la mia conoscenza. Stop. Chiuso. Prendi e porta a casa. Ma allora mi viene anche in mente una giusta domanda “perché tutto ciò che è bello sta rinchiuso in un museo?”. Ingenua, ma vera. Perché quando ci piace qualcosa, lo reputiamo bello, bello per noi, ce lo stringiamo forte, forte, lo catturiamo, per riempirci ancora di un’altra cosa in più che ci possa caratterizzare, che ci possa far conoscere. Ma a chi? A noi stessi? O agli altri?
Perché dobbiamo farci conoscere dicendo ciò che ci piace e non ciò che siamo? E’ come lavarsi i denti col sapone.
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