Non voglio dedicarti una canzone d’amore, non
vorrei paragonarti ad una primavera, ad un sorriso da perdere il fiato, a respirare,
al cielo, al sole, alla forza dell’amore.
Non me la sento di dedicarti niente di
intangibile, di cui a parole poeti e cantautori e patetiche presenze sanno
riempirsi la bocca, ma chissà se ne sono piene anche le azioni.
Non mi vergogno a dire che mi vergognerei ad
avvicinarti ad un tramonto, ad accostare i miei sentimenti ad un colore, un
profumo, un tempo atmosferico, un evento circadiano, una sfumatura di teoria.
Tutto quello
che ti vorrei buttare addosso è la realtà poliedrica che ci è data di
vivere: la puzza di vaniglia al momento meno opportuno, il sudore, l’alito
cattivo, la volontà di farsi capire, di non deragliare il biposto bimotore,
pragmatismo ed esoterismo, un abbraccio stretto stretto nel dormiveglia, le
sprimacciate prima di dormire, i silenzi perplessi e quelli assorti, la
felicità della consuetudine e la paura della routine, la complicità di anni
nata dalla sintonia di un attimo, la barba, i peli, il sangue, il tatto più
estremo.
Io godo e soffro, senza fronzoli o grandi
giri di parole. Godo della realtà mia di cui fai parte. Della realtà nostra che
dobbiamo assolutamente vivere, toccandola, mangiandola, urlandola,
approfittandone scostumatamente, prepotentemente di peso, come se non ci
fregasse niente di nient’altro, una corsa ad accaparrarsi i posti migliori e
fanculo a tutti gli altri, che poi, quando ti siedi e puoi stendere le
gambe, ti giri e mi guardi soddisfatto.
Fiiiischia.
E' bellissima:)
RispondiElimina