giovedì 10 maggio 2012

Chante Clair




Forse potrebbe essere giunto il momento di fare un po’ di pulizia tutt’attorno, che qui è impolverato da secoli e, ad esser sinceri, non c’è neanche un così buon’odore, infatti arriva a zanfate improvvise questa sfumatura di muffa, che rende tutto così vintage, ma anche un po’ malsano.
Dico che forse è giunto il momento perché non è che ne abbia poi così tanta voglia di prendere, guardare e decidere se sì o se no, se tenere o lasciare senza alcuna pietà. Forse, perché, un conto è passare solo l’aspirapolvere e dire “Bòn, pulito.”, ma un altro conto è tirare su le sedie, arrotolare i tappeti, spostare le piante e passare lo straccio, perché, insomma, chi ha un po’ di spirito casalingo (o anche solamente un po’ di senso della decenza), sa che devi riempire un secchio con del sapone detergente adatto per i pavimenti, magari mischiarci dentro anche un po’ di ammoniaca – giusto per asetticizzare l’ambiente – e fiumi di acqua calda, che sgrassa e scioglie lo sporco (ma non ci pensavano già i tensioattivi del sapone?), immergervi uno straccio, strizzarlo e passarlo, possibilmente due volte, sui pavimenti, avanti e indietro, insistendo sui punti più sporchi, per poi aspettare che asciughi. Insomma, porta via tempo e fatica.
Credo che mi sforzerò e riempirò pure sto secchio con acqua ben calda e detergente per pavimenti, l’ammoniaca, invece, la lascio stare, che mi fa pizzicare il naso. Il mio disturbo ossessivo-compulsivo, mi porta sempre dal fare trenta a dover a tutti i costi fare anche trentuno, a dover sempre esagerare, perché “stanchi” va di pari passo con “l’aver fatto” e l’aver fatto fa tacere, almeno per un po’, l’ossessione a fare e la compulsione a farlo.
Vorrei pulire proprio tutto, perché le cose, da pulite, sono più belle e sembrano anche più nuove, anche se sono vecchissime, e magari allora le guardi come se non le avessi mai possedute e sei contento di ripossederle ancora, come se le avessi appena acquistate.
Allora inizio col lavar via abbondanti incrostazioni di angoscia panica. Qui e lì, dietro ad angoli nascosti, depositi di paure di abbandoni, di gente che si volta, di orecchie che non ti sentono, di urla che non escono, frustrazioni ataviche, maledizioni al passato che influenza così tanto il presente. Do più passate, che qui pare non se ne vada via niente. Un bel pasticcio. Deve essere da tanto che non pulisco.
Pulisco anche un po’ di silenzi: le convinzioni che a volte sarebbe meglio non parlare, per poi scoprire che quando ti liberi delle cose, trovi sempre qualcuno a cui darle e che se ne sbarazzi per te, lasciandoti leggera e stupida, ma pur sempre libera.
Sto pulendo così bene che vedo occhi pieni e sorrisi a trentatrè denti. Mi pare anche di sentire fragorose risate, ma magari sono solo voci lontane.
Lavo i vetri del mio cervello e, finalmente, posso vedere bene tutto ciò che sta fuori e mi circonda. C’è chi fa fatica a guardarsi dentro, a scendere in profondità di sé stesso e di ciò che vive, che abbandona alla prima possibilità, scontrandosi con una realtà difficile da gestire se si tende a campare idealmente di grandi idealismi, sorretti da saldi, quanto utopici, ideali. Chi, ci prova ad andare contro la propria natura, non senza momenti di grande frustrazione, in cui riemerge una nostalgia per un passato in cui riconoscere la nascita di tale senso di inadeguatezza, lo stacco dalla serenità bambina, di giochi e amichetti e androni di palazzi di un sacco di piani di sogni. Chi gestisce le proprie ansie, prendendo le distanze da ciò che la società obbliga a ritenere importante, e cerca di godersi un tempo unico, con un pizzico di egoismo, ingrediente fondamentale per una ricetta di felicità. Chi combatte a suon di pazienza e sonni l’acidità di tanti bocconi amari e cerca comunque le proprie soddisfazioni e i primi traguardi, con tanti sacrifici, grandissima perseveranza, moltissima umiltà, ed egoismo quanto basta (ingrediente comune ad un sacco di ricette nella cucina della vita).
Vedo nuove fini e nuovi inizi, trottole rassegnate, nuovi luoghi in cui abitare, vecchie vite da ristrutturare e l’entusiasmo nello scegliere le finiture. Vedo sieste forzate, agognate tranquillità raggiunte, pennichelle pomeridiane. Un ringiovanimento generale, che, mi pare più un ritorno all’infanzia, stanchi di preoccuparsi, finalmente convinti che si fa meno fatica ad essere un po’ coraggiosi, piuttosto che continuare a temere per qualsiasi cosa.
Dalle finestre della mia testa, insomma, vedo la primavera, in fiore, e quasi sento il profumo e allora apro le finestre e lascio che tiri corrente e che mi vengano i brividi di freddo, nonostante fuori ci siano 30 gradi ed una provinciale, quanto precoce, afa estiva.
Tira corrente ed alza tutta la polvere di sfiducia nel futuro, accumulata in questi mesi di adattamento forzato a grandi eventi di vita. E ripenso a chi mi dice che non mi sono voluta godere il momento, che me lo sono negato, quasi come se non me lo fossi meritato. Forse è meglio che pulisca via tutto questo con un po’ di consapevolezza che mi merito qualcosa e molto di più di quanto non mi sia voluta regalare fino ad ora. 
Mi merito di svegliarmi stordita al mattino, arrancando per tutta la giornata, perché ho vissuto troppo intensamente quella precedente, che ancora devo riprendermi. Mi merito sogni belli, dove tutti mi guardano in faccia e nessuno mi volta le spalle, dove non tento di urlare, semmai cerco di smettere di ridere.
Mi merito di vivere l’aspettativa come una speranza e la nostalgia come una consapevolezza.
Mi merito di meritarmi. E poi se lo meriteranno gli altri.

Quante cose dovrei ancora pulire qui dentro. Per il momento, però, il secchio è ormai pieno di acqua sporca, la casa ha una parvenza di pulito e a me è venuta voglia di cucinare, che mi piacerebbe avere ospiti a cena.

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