lunedì 21 marzo 2011

Unravel your never-ending task, Penny!


La donna che s’accontenta fa l’amore con sé stessa.
La donna che s’accontenta sente di amare solo se privata,
quando tragicamente si sacrifica in nome di nulla di meritato.
La donna che s’accontenta scende a patti con una sé sbagliata.
La donna che s’accontenta scambia la paura per  pazienza
e si riconosce virtuosa naufragando nell’isola degli ormai.

La donna che ama fa l’amore col mondo,
Dona amore sorridendo, riempiendosi il cuore di magnifico.
La donna che ama acquista valore aggiunto senza mai comprarlo.
La donna che ama aspira al bene, conoscendo il male.
La donna che ama porta pazienza come piume d’angelo,
ed è felice quando salpa dal porto verso il mare dei chissà.

La donna che ama non è donna che s’accontenta.
La donna che s’accontenta non è donna che ama.

martedì 15 marzo 2011

Growing up beside you



Oggi è stata l’ennesima giornata stressante di una lunga serie di giornate stressanti, inserite in un periodo altrettanto stressante, che segue ad altri periodi oltremodo stressanti, che delineano un anno molto ricco di stress, ma anche di faticose e gratificanti evoluzioni.
Questa ennesima giornata stressante è stata caratterizzata da una variazione al tema: al posto del solito ping pong fra reparto ed imprevisti in reparto, mi sono concessa una briosa spremitura di meningi per la stesura di un abstract da inviare ad un congresso. End line: oggi.
Grazie al caso – e ringrazio solo il caso, non a caso – tutto è andato per il verso giusto: chi di dovere ha accettato quanto scritto dopo solo cinque o sei ristesure, e quanto scritto è stato inviato alla commissione esaminatrice del congresso di cui sopra.
Di solito, quando il destino decide di tirar fuori dal suo cilindro giornate come queste, mi abbuona in omaggio anche una super acuzie di disturbo ossessivo-compulsivo, che di norma va a sfogarsi sulle faccende domestiche, una volta rientrata alla solitaria dimora.
Ormai so già quale è il copione: sono stanca morta, ma non mi basta, perché ormai già che sono in ballo ballo e se c’è da fare 30 faccio pure 31. Così, cercando di evitare l’inesorabile fine, da un lato, ma ossessionandomi/rassegnandomi alla necessaria conclusione “igienica” della giornata, inizio una serie di attività similricreative, ognuna correlata consecutivamente alla precedente dal motto del “30 e poi 31”.
Stasera, una volta aperta la porta di casa, il mio susseguirsi di pensieri, e quindi di relative azioni, è stato: fare la lavatrice perché se no il consorte laureando domani non ha mutande da mettersi (ma dove saranno finite tutte le sue mutande, a proposito?) → sarebbe anche il caso di passare l’aspirapolvere, che se no, poi, se il consorte rimane qui per due giorni consecutivi, la casa diviene un macello e, visto il periodo, c’è bisogno di molto ordine per mantenere la calma e la concentrazione → certo che sarebbe anche il caso di cambiare le lenzuola, che se no, poi, settimana prossima, che non ci sono, mi si accumula lavoro e diventano lerce → già che ci sono, potrei anche sollevare i materassi e le doghe del letto e passare l’aspirapolvere lì sotto, che se mi va bene debello in un sol colpo la comunità di cimici zombies pacificamente integratasi con gli autoctoni acari, risultanti all’ultimo censimento di luglio 2010 in numero di 10 milioni (una megalopoli).
Fortunatamente, a questa prima concatenazione non molto logica di pensieri, sono seguite azioni che hanno placato il cervellotico circolo vizioso nel quale mi ero impantanata ed hanno limitato i lavori domestici a queste sole pulizie di primavera, più qualche aggiunta di ulteriori fatiche in itinere, come decidere di riordinare i cassetti e l’armadio.
Devo ammettere che, quando mi coglie tale estro creativo, la situazione porta sempre ad un turbinio di emozioni e di ritrovamenti inaspettati. 
Nel riordinare i cassetti, spiegando e poi ripiegando bene ogni maglione e maglietta, ho tirato fuori anche quei capi che non metto mai e che giacciono immacolati sul fondo. Avevano ancora l’odore dell’ultimo lavaggio, dell’ultimo detersivo, dell’ultimo ammorbidente usato. Un profumo che non sentivo da mesi e che mi ha avvolto di ricordi di estate e fine estate, di zanzare, di condizionatore, di montagna e di mare. E così mi sono scese quattrocinqueosei lacrimucce e, per la prima volta nella mia vita, da brava persona che matura, mi sono emozionata a pensare a quante cose sono cambiate e stanno per cambiare. Arrivati alla vigilia di un evento importante, come l’imminente laurea del mio consorte, mi sono sentita grande e e piena di sentimenti materni: mi ha sfiorato il pensiero dell’orgoglio per tanta strada, del “siamo cresciuti personalmente e professionalmente insieme, ti ho visto crescere, ed ora stai per raggiungere un traguardo sacrificato, sofferto, guadagnato”, e stiamo insieme, uno affianco all’altro. Mi sono fermata io, un attimo, per tutti e due, stasera, a pensarci, per poi riprendere a correre, verso i nostri futuri, che si tengono per mano.
Nel cambiare le lenzuola, invece, sono saltate fuori ben due paia di mutande, nessuna delle quali era mia. Ecco svelato il mistero della sparizione delle mutande del consorte.
Sollevando i materassi e le doghe del letto, inoltre, ho potuto constatare un incremento demografico, non solo degli Acariani, abitanti di Acaropoli, ma anche del cimitero vivente di cimici, reduci da un inverno di battaglie con la sottoscritta. Avevo vinto io: erano tutte morte, stecchite e capovolte. Non mi consola sapere che io vi abbia dormito sopra per tutti questi mesi, ma sentirle risucchiare nell’aspirapolvere mi ha riempito il cuore di una calma serenità.
Ho finito di ribaltare la casa in tempo per stendere i panni che la lavatrice aveva centrifugato a 1000 giri al secondo, per cui, ormai stremata, ho stretto i denti per questo ultimo sforzo e nel prendere le mollette, riposte nell’apposito contenitore, mi sono trovata faccia a faccia con una schifosissima, verdissima e antennosissima cimice.
Il destino, oltre ad avermi regalato un quanto mai afinalistico disturbo ossessivo-compulsivo, mi ha anche concesso il dono di poter inorridire fino a peli ritti ed urla isteriche alla sola vista della cimice, del genere schifus schifissimus.
Raccogliendo quel po’ di pazienza residuatami dalla giornata ho escogitato un piano d’azione per liberarmi senza spargimenti di sangue della cimice delle mollette e questa è finalmente volata via dalla finestra, scaraventata da un colpo di mestolo, sotto la pioggia battente.
Cimici, ho vinto la battaglia ed ho vinto pure la guerra. Oh.

Dato che una cimice non può essere la giusta conclusione di uno sproloquio, lascio qui sotto il vero senso di tutto questo.



Growing up beside you
(Oltre che del titolo della canzone di Paolo Nutini, si tratta di un link!)

Sitting beside you in school
While we'd paint I'd make you laugh
Mine was never very good
Yours looked exactly like the photograph
Looks like I'm growing, I'm growing up beside you

I don't always get the way you feel
But now I've learned to live with that
It's like I'm a part of something real
I was hitting the bottle, now I've broke the seal
Looks like I'm growing, I'm growing up beside you

And the sun sets the scene
While the rain misses me
And all the time I'll be growing, growing up beside yo
u